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"Contemplata aliis tradere"
Come si volesse fermare per sempre quell'attimo. Quell'irripetibile frammento di tempo nel quale l'incontro con la natura si fa intimo e personale. E' la scommessa, la magia che si cela dietro ogni immagine catturata nel grande libro della natura, per farla ancora parlare e non interrompere quelle confidenziali corrispondenze che si sono accese improvvise davanti alle trame che le cose disegnano e all'indecifrabile arcano che le regge. Perciò la fotografia nasce dal cuore. E' frutto dell'immensa meraviglia che accende gli occhi e l'animo, quasi si scoprisse il maestoso dispiegarsi dell'infinito che ha preso forma e si è vestito di materia. Considerazioni alle quali non sfugge l'opera di Domenico Pezzato la cui ormai nutrita e apprezzata produzione evoca sensazioni che vanno ben oltre quelle puramente visive. I suoi soggetti preferiti, i volti che più ama, le immagini che più lo rapiscono, quasi obbligandolo ad immortalarli, sono quelli del paesaggio trevigiano: scenari d'incredibile bellezza, luoghi di un fascino discreto che ammalia, che disgregano i contorni materiali per ricostruire tratti di una dimensione metafisica nella quale i sensi ammutoliscono e il silenzio si fa voce tenue e sommessa.
Così, il Montello innevato o le sottili architetture disegnate dai
mille bianchissimi fili della galaverna nella campagna trevigiana o,
quasi a cullarle, sulle sponde dello Storga diventano metafora dei
mille sentieri dell'animo nel loro Segreti che gli scatti di Pezzato conoscono, ma custodiscono gelosi. Che hanno ritmato la sua vita artistica, la ricerca di se stesso nello spettacolo quotidiano della natura. Suggestioni che si stampano dentro per sempre. Che si è tentati di velare e celare agli altri. Figlie, si direbbe, della stessa bellezza divina che è l'arte. E non è affatto casuale l'adozione del bianco e nero, anche quando con esso si narra del “Grande ciliegio in fiore” o dell'“Aglio selvatico” che si apre, timoroso e pur solenne, alla vita. Il bianco e nero immagina ed interpreta, coglie sfumature che quasi sempre i colori sottraggono alla vista, per legarle poi al contesto che dà unità all'intero oggetto riprodotto. Riconduce la fotografia alle sue origini, alla sua prima cittadinanza nel mondo dell'arte, ma soprattutto conferisce all'immagine la morbidezza mista alla delicatezza, l'insospettabile magia che le permette, pur con una staticità che apparentemente la imprigiona nel materiale, di parlare a chi sa ascoltarne gli impercettibili sussurri.
Come accade alle “Foglie secche con brina”, al tenero “Sambuco in
fiore” o ancora alle “Rose canine” e alla “Laguna con “sandolo”,
dove la sensazione si fa contemplazione, poi commozione, Armonia che vive di contrasti. Opposti che si ricompongono, come nel bianco e nero caro a Pezzato. Se il primo illumina e sembra svelare l'arcano che ogni singolo oggetto racchiude, il secondo copre, allude, rimanda, stimola l'occhio di chi cerca oltre la barriera che si staglia davanti. E dal gioco dei due opposti, dalla dialettica della dualità dalla quale fiorisce sempre la vita, nasce la luce: ora tenue e fioca, ora limpida e insospettabilmente tersa, ora adombrata, come a ritmare, con le sue mille gradazioni e tonalità, la scansione del tempo o a fare da sintesi alle sue stagioni. Ragionamenti che aiutano a capire perché Pezzato, per dare un nome alla sua rassegna, abbia fatto ricorso al felice motto dei domenicani “Contemplata aliis tradere”: la bellezza della natura è patrimonio di tutti. Le pagine che la raccontano, pur con il loro apparente tacere o impercettibile sillabare, l'invito a sfogliarle, a scoprire tra le loro righe Dio, “l'invisibile evidente” come lo chiama Victor Hugo, attendono di essere meditate. E Pezzato ne dà ampia, convincente possibilità. Mario Cutuli.
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