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EVENTI 1999 1987  Anna

 

17 febbraio 1999 - dodicesimo anniversario della morte di Anna Maria

 

"Lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!»" (Isaia 58, 9)

 "...non è mai casuale l'ora in cui si muore, il che in un certo senso deve tranquillizzare il vostro cuore: esiste nella nostra vita quotidiana e di relazione un enorme mistero che ci portiamo dietro, senza riuscir mai a possederlo, ed è il mistero della "vita" di ciascuno di noi, che si dilata nel tempo secondo un preciso filo che sfugge a chiunque, compreso il proprie­tario, ma esiste perché altrimenti non vivremmo neppure.

Ci sentiamo attori, ma recitiamo senza sapere, un copio­ne scritto da altri e subito siamo spettatori di noi stessi; e abbiamo solo due alternative: o di sentirci dei burattini folli immersi in una folle avventura senza senso e sospinti verso un inghiottitoio buio dopo essere passati su passerelle trabal­lanti, oppure il mistero ha un nome e si chiama Dio e Dio si chiama Padre e ci conosce per nome e coagula in unità tutta l'estensione della nostra vita che tempo e spazio hanno dila­tato e ci toglie da un'esperienza per immergerci in un'altra migliore e finalmente piena. Non ci sono altre vie salvo la terza che è quella che tutti noi scegliamo, perché più facile, più consona al nostro io attuale ed è la via di non proporsi mai il problema in assoluto e di rimandarlo sempre, di barat­tarlo continuamente per i trenta denari che distrussero Giuda e distruggono anche noi.

Talvolta mi vien fatto di pensare che noi, secondo una certa ottica umana, amante delle gerarchie di un certo tipo, crediamo che in una morte sia il morto il protagonista. Mai ci viene in mente che quel fatto, quel "filo" del tessuto della stoffa che è la comunità dei figli di Dio, sia stato "tirato" per noi (non da noi) perché il dialogo tra Dio e noi entri nella nostra profondità interiore, come anche a chi è stato "richia­mato al Padre" sarà successo prima, e che quindi di un fatto così potremmo essere noi i protagonisti ...."

 Da una lettera di Anna Maria


17 febbraio 1998 undicesimo anniversario della morte di Anna Maria

 

"Lo Spirito di Dio abita in voi" Romani 8,9

  

...in questo ultimo anno in cui da una vita normale sono passata a scontrarmi con esperienze per me allucinanti, anche se molto di malavoglia e con estrema riluttanza, ho potuto constatare che i miracoli che ci capitano non sono quelli che chiediamo, perché quelli non capitano, ma sono di tutt'altro genere inaspettati e stupefacenti, tali che, malgrado noi stessi, ci trasformano da capo a fondo, per il tempo occorrente, e noi ci troviamo capaci di fare, pensare, accettare e superare tutte quelle cose che, in tempi normali, sembrano impensabili.   C'è qualcosa dentro di noi che fiorisce e sboccia e dà senso e sapore alle cose, veramente nostro malgrado, e questo è il miracolo; credo sia lo Spirito Santo che si manifesta con una potenza veramente incredibile alla quale assistiamo stupefatti perchè non è neppure quello che vorremmo noi e quindi, in ultima analisi, questa forza che nasce in noi è anche combattuta ed osteggiata dal nostro io più profondo: il miracolo è che Dio ci spogli e ci impoverisca come David e poi ci permetta  di abbattere Golia, senza che possiamo vantarci di nulla.

                                                         Anna Maria Feder Piazza 9 marzo 1983  


17 febbraio 1997 decimo anniversario della morte di Anna Maria

 

"La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio."

                                                                                                    (Romani 8,19-21)

  E' sera, sta calando la notte: una giornata cupa, una sera squallida.  E' freddo.  Si sta bene solo in cucina, ma non c'è intimità. Ho strappato questo piccolo brandello di vuoto e ti ho soppesato a lungo, quaderno: scrivere o no?  Da quando mi sveglio, la mattina, non faccio che pensare a te, però non ti apro mai, perché non ho il posto per farlo e anche perché c'è sempre qualcuno attorno a me.  Io non posso "filarmela". 

 

Domani forse ti scrivo, Bellona.  Sono quattro giorni che desidero scriverti, ma ormai, come sempre succede, tutto quello che ti ho detto dentro di me e ridetto, che era bello e fresco si è triturato come la segatura o i residui del ferro limato, non ha più senso, ne' più struttura, ne' più freschezza. Che cosa ti scrivo a fare Bellona? Una cosa è ben certa: che di te resta ormai più solo la catena che, passando nelle nuove esplorazioni della primavera, ho intravisto pendere arrugginita e ingroppata dal palo della rete: non c'è più che quello e i miei occhi sono già pieni di lacrime di fronte allo strumento di  tortura  al quale per tredici anni ti sottoponemmo e al rimpianto di te che nessun cane, mai più, potrà colmare, Bellona mia!

 19/4/83


17 febbraio 1996 nono anniversario della morte di Anna Maria

 

« Voi siete miei amici... vi ho detto amici poiché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho udito dal padre mio». (Gv 15, 14)

     Non c'è niente di più importante nella vita di un uomo di lasciare il suo patrimonio spirituale di bellezza e di amore ad un altro che la Provvidenza gli ha messo vicino, donare il proprio tesoro interiore, perché si moltiplichi all'infinito.

Se ognuna di voi ci pensa bene, l'incontro con lo Scoutismo è stato l'incontro con la gioia, ma durante il percorso per arrivarci, non eravate sole, sempre qualcuno più o meno capace, più o meno «grande» ha spezzato per voi e con voi il pane di queste difficili verità che si possono gustare solo un po' per volta, se qualcuno ti aiuta a vedere, a scoprire, se ti sostiene nel momento che la verità è troppo grande e troppo lontana da te, se ti consola delle tue sconfitte, se si congratula per le tue vittorie, se ti fa sentire che ti ama, che ha offerto la sua vita per la tua... le vostre capo, nella loro pochezza, con tutti i loro limiti, con la pazienza soltanto della loro presenza, hanno tradotto per voi, nei lunghi anni della vostra crescita, il messaggio dello Scoutismo che, altrimenti, per quanto bello e gioioso voi non avreste potuto né intendere né seguire. Ed ecco il punto: il mondo è pieno di ragazzine con il cuore aperto alla ricchezza della vita, pieno di ansia per la loro futura avventura, di sogni e di desideri di trasformare la piatta vita che vedono intorno in un miracolo di bellezza e di bontà, di forza e di coraggio. Non guardate oltre l'orizzonte alla ricerca di un servizio importante, voltatevi indietro a guardare le centinaia, le migliaia di ragazzine che aspettano che qualcuno insegni loro la strada per trovare se stesse, per essere felici: quella stessa strada che qualcuno prima ha insegnato a voi.

Domani la vita ci chiamerà a servire altrove e voi ubbidirete a questa chiamata perché così è giusto, ma se potete, finché potete, donate voi stesse a quelli che sono più piccoli, che stanno aspettando una mano fraterna, una mano sicura. Se in lunghi anni di servizio voi riuscirete a costruire anche una sola strada, per una sola ragazzina di tante che avrete incontrate, avrete già fatto un'opera di valore infinito da deporre ai piedi di Dio: avrete dato la vostra vita per la vita di un altro e: «Non c'è amore più grande di quello di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici» (Gv. 15, 13).

Spesso non ci rendiamo conto che l'essere chiusi o aperti è un fatto interiore e non dipende affatto dall'ambiente esterno che ci accoglie. lo, per parte mia, posso solo dirvi che sono quasi vent'anni che faccio un Servizio di Capo nello Scoutismo. Se non fossi stata così impegnata forse avrei potuto realizzare mille altre cose: continuare a studiare danza e pianoforte, prendere un’altra laurea, fare parecchi concorsi, tenere cicli di conferenze di arte o di morale, però, quando guardo indietro e conto le lacrime che ho asciugato, i sorrisi che ho visto sbocciare, gli sforzi che ho visto compiere da tanti ragazzi per essere migliori, se penso a quante volte ho usato di me stessa come strumento per far conoscere Cristo, so di aver contemplato migliaia di miracoli stupendi. Così se tornassi indietro, rifarei daccapo tutto quello che ho fatto, con buona pace di tutti i ben pensanti, per poter dire, come posso dire, di essere una persona profondamente felice.

 

                                                                  da un articolo di Anna Maria sulla rivista dell’A.G.l


17 febbraio 1995 ottavo anniversario della morte di Anna Maria

«Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati» Efesini 1,18

... Io non sono né un moralista, né uno psicologo, né un pedagogista, non ho una preparazione specifica sull'argo­mento ma sono una Capo e, prima ancora, sono una persona che crede che la vita sia gioco e avventura diversi e irripeti­bili per ciascuno di noi. Così mi è accaduto abbastanza spesso di dovermi tuffare in me stessa alla ricerca della mia verità e della mia essenza.

All'esterno molte vite sembrano simili; si potrebbero determinare delle categorie e comodamente calarvi dentro le persone. Salvo alcuni casi sporadici, ognuno rientrerebbe in una categoria e scorrerebbe sui binari di essa assieme ad altre migliaia di persone.

Tutta qui la vita umana? Eh! Si! Senza la coscienza sì. È la coscienza la fonte dell'avventura individuale, la mia unica possibi­lità di scoprire la verità e farne la mia verità, di intuire la Bellezza e di andare verso di essa con amore, con il mio modo di amare che è così mio che ne posso parlare ma non lo posso comunica­re neppure. È la mia coscienza che illumina ogni mio gesto e pensiero e gli dà senso e valore cosicché nulla va perduto né sprecato ma s'incide nell'eternità, mi costruisce per l'eternità.

La mia coscienza è perciò tutta la mia ricchezza per arri­vare dove voglio arrivare, per vivere intera la mia avventura. Ed ecco il punto: dove voglio arrivare? In che cosa credo?

Vivere la propria avventura significa trovarsi in una determinata situazione e cercare di capirla e quando la si è capita non subirla più, ma volerla totalmente, senza riserve o rifiutarla totalmente per sceglierne un'altra, in un caso o nell'altro viverla fino in fondo.

La mia situazione era quella di essere nata cattolica, in una certa famiglia che mi aveva dato una certa educazione di aver trovato ad un certo punto lo scoutismo. Solo nell'aderire o nel rifiutare le proposte che mi offriva la mia situazio­ne io avevo la possibilità di vivere a fondo la mia personale avventura umana, l'unica vera.

Esiste una verità oggettiva? Io come cattolica non posso non crederlo; i valori che io scopro vivendo in un determina­to momento storico, sociale, in un determinato ambiente culturale non sono altro che i particolari aspetti di questa realtà che trascende la storia per cui ogni epoca ne sottolinea alcuni; ma come li sottolinea?

Nella misura che la coscienza individuale non solo li intuisce ma cerca di raggiungerli, di aderire ad essi fino a farli vivere con la testimonianza della propria vita, con la particolare ricchezza della irripetibilità della persona. Qui la vita diventa avventura, crescita senza sclerosi fino alla fine, e ogni azione testimonianza di una vocazione!

Ma togliamo di mezzo la coscienza, cioè la mia tensione per capire e per volere quello che ho capito senza diafram­mi; cos'è mai la vita umana se non un ripetersi abbastanza insensato di gesti, un che di frammentario e confuso, un essere in balia del tempo, della sorte, delle cose?

Ma la coscienza non è un organo come il cuore e i polmo­ni che crescono con il crescere dell'individuo; all'inizio è un'energia spirituale anzi è il centro propulsore di tutte le nostre energie spirituali; perché assolva alla sua funzione cioè perché esista come luogo della sintesi delle attività del nostro spirito essa va coltivata. Questo è l'unico fine dell'educazione: restituire a ciascuna se stessa perché ognuno possa crescere fino alla fine, realizzarsi nella sua pienezza, scoprire la propria avventura e viverla come tale.                        

Da «IL TRIFOGLIO», 1970


17 febbraio 1994 settimo anniversario della morte di Anna Maria

 

«Corro per la via dei tuoi comandamenti perché hai dilatato il mio cuore» (Salmo 118,32)

 

Cara F...,

mi riesce difficile andar oltre queste due parole perché troppe sono le cose che vorrei dirti e potrei dirti ma non sempre noi riusciamo a riassumere la nostra esperienza, la nostra sofferenza il nostro amore in pochi chiari concetti.

Tu ti trovi ora ad una svolta difficile della tua strada, e ti senti sola, forse più che sola perché non sai più neppure spiegarti chi sei tu, non ti dirò cose magnifiche, non voglio adoperare idee più grandi di noi, non ti voglio dire le cose che bisogna dire, le cose d'occasione, ma solo quelle che ho diritto di dirti per averle patite e vissute, per averle scoperte lungo la strada.

Vorrei che tu potessi crederle come cose vere, non come parole vane. Ad un certo momento noi ci chiediamo: cos'è la vita perché come esseri umani noi abbiamo il diritto e il dovere di sapere che senso hanno le nostre azioni, la nostra sofferenza, la nostra gioia.

Varie sono le risposte degli uomini all'eterna domanda ma ce n'è una sola che risolve valorizza e chiarifica questo scorrere di ore, di giorni, di anni: la vita è Servizio perché nel cuore di ogni uomo buono o cattivo che sia, stupido o geniale, c'è prima di ogni altra cosa un immenso bisogno di amare e di essere amato. Soltanto nel servizio continuo, che è fatto di pazienza, di comprensione, di offerta e di sacrificio, soltanto nel Servizio che può essere umile e nascosto e grandioso, ma che è sempre sublime, noi risolviamo il problema del perché siamo venuti al mondo, perché possiamo rispondere con sicurezza: per amare, per comprendere e per salvare.

      Come dalla chiara intelligenza e dalle forti mani di un uomo nascono le opere d'arte stupende, le scoperte, le costruzioni, nei nostri cuori e nelle nostre piccole mani di donne noi teniamo la forza più grande del mondo: l'Amore.

Noi abbiamo la possibilità di essere l'inesauribile fonte di gioia, di tenerezza e di pace, a noi è stato affidato il compito di essere il sorriso del mondo. È un diritto e a volte ci sembra più grande di noi, perché è frutto prima di tutto di rinuncia, di superamento, di controllo, che piova o faccia il sole, che la stanchezza o la ribellione, la delusione o la sconfitta si agitino nei nostri cuori, dobbiamo ricordarci che il nostro volto è fatto per il sorriso, le nostre mani sono fatte per accarezzare e perdonare, poiché se è vero che è affidato all'uomo il compito di addentrarsi ed esplorare le strade aperte o segrete dei mondi altrettanto è vero che a noi è affidato il compito di guidare e sorreggere, di rialzare e indicare, di educare insomma in tutti i sensi e in ogni ora della nostra vita. Solo così ha senso la nostra preparazione e il nostro scautismo, in una battaglia continua contro il nostro «Io» ribelle e orgoglioso, contro il nostro mondo che si agita dentro denso di debolezza, di ironia, di egoismo, in un controllo continuo di noi stessi per obbligarci a fare le cose che non vogliamo fare o di cui non sappiamo il significato: Fiat mihi secundum verbum tuum.

La Donna che è stata più Donna, libera di scegliere tra un'esistenza modesta sì, ma serena, e una vita imbevuta tutta di incomprensioni, di atroci sofferenze, di rinunce, di silenzioso servizio accanto alla Creatura che era fatta del Suo sangue e della Sua carne ma che non era Sua perché era venuta al mondo per vivere e morire per tutti, per tutte le creature del mondo, ha pronunciato le umili parole che ci hanno donato la Vita.

Ad un certo momento della nostra vita a noi tutte è posto l'interrogativo, ed è data la possibilità di scegliere se vogliamo essere Donne o solo creature di sesso femminile, se vogliamo cioè esplicare la nostra missione e servire o soltanto vegetare. Il servizio non è un dovere di chi ha avuto di più e lo dà con compiaciuta e cosciente alterigia, ma è un dono meraviglioso, è la compiuta risoluzione di una vita vissuta a pieno nell'oggi, vissuta in ogni ora, nel dolore e nella gioia. Ringraziamo infini­tamente il Signore che ci ha fatto capire che solo il Servo è li­bero e padrone, non solo di dare la gioia, ma di creare in ogni es­sere che ci è accanto la sorgente della gioia.

Il mondo è infelice perché vuol esserlo, il dolore più pro­fondo non è mai infelicità, l'infelicità che ci tormenta è la soli­tudine di chi non sa guardarsi intorno ... ed è così semplice servire, solo nel servizio noi siamo completi, noi possiamo esprimerci e creare come richiede la nostra natura di uomini.

F. cara ti ho scritto tutte queste cose, alcune delle qua­li tratte dal mio carnet, perché ti siano di guida, perché ti aiutino a capire il senso della vita che ora ti si sta aprendo dinnanzi.

La vita è un dono mia cara, ogni giorno può essere una per­la preziosa, scoperta dai nostri occhi attenti, resa lucente dal­le nostre mani. La vita non va subita, va presa e affrontata con entusiasmo. Ti accorgerai lungo la strada che nessun dolore è amaro e insopportabile.

 Da una lettera di Anna Maria  1 955


17 febbraio 1993 sesto anniversario della morte di Anna Maria

 

«Tu sei il  mio Dio, nelle tue mani sono i miei giorni» (Salmo 30,16)

 

Mio Caro don Lino,

(...) ci sono giorni in cui la mia condizione mi appare inaccettabile, e allora me la prendo col buon Dio. Spesso la mia preghiera è un contendere con Lui; anche perché nella mia vita spirituale l'intelli­genza ha una parte preponderante. Per me capire è sempre stato importante, alla fede ho sempre chie­sto luce. Forse è sbagliato, ma io sono strutturata così. Solo che il mistero c'è, e ci sono gli aspetti incomprensibili della vita. Come ad esempio questa mia malattia; e tante altre cose.

Queste zone che restano oscure, che non riesco ad illuminare, mi fanno arrabbiare. Anche se capi­sco che è un atteggiamento più da ragazzi che da adulti, come tu mi hai già detto.

Il tuo invito ad abbandonarmi in Dio, a chiudere gli occhi per affidarmi a Lui, mi risulta molto diffi­cile. Non è facile ritornare bambini. Questa fatica interiore condiziona la stessa preghiera. Perciò con­fido molto sulla tua preghiera, come sul tuo fraterno aiuto. (...)

 Da una lettera di Anna Maria ad un amico sacerdote. 1986      


17 febbraio 1992 quinto anniversario della morte di Anna Maria

 

«Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri, da ora e per sempre» (Salmo 120,8)

 

Carissimi,

io spero vivissimamente di poter partecipare assieme a Checco e a Lino al Battesimo di A... anche se, come già vi dissi, un impegno precedente potrebbe crearci qualche difficoltà che tuttavia siamo ostinatamente decisi a superare per l'importanza che attribuiamo alla cerimonia e per la gioia che proviamo di sentirci considerati da voi «così amici».

Se vi scrivo, dunque, non è tanto per la paura di non riuscire ad esserci quanto perché vorrei dirvi tante cose che a voce non sarei mai capace di esprimere e che, anche per iscritto, mi riescono tanto difficili.

La più importante di tutte è che provo una immensa gioia.

Da quando A... è stato annunciato, non so perché, ho sempre avuto un'inquietudine e un leggero senso di sofferenza, un inspiegabile timore che adesso posso confidarvi. Volevo con tutte le mie forze per il bene che vi voglio, e quindi che gli voglio, che anch'egli, come tutti noi, godesse dell'immensa ricchezza del Cristo morto e risorto, qualunque fossero le sue scelte esistenziali che poi si dipanano nell'arco di un'intera vita e possono essere mutevoli e sofferte, accettate e respinte e poi riaccolte purché sia lasciato alla Grazia di Dio uno spazio di entrata per germogliare. L'annuncio del suo battesimo e la vostra lettera così meditata che garantisce un'assunzione di responsabilità piena, un amore autentico di genitori l'ho goduta come una preghiera a Dio di ringraziamento e di lode per il figlio accolto come dono e come impegno.

A..., bambino inerme e indifeso ha assunto il ruolo magnifico che il salmista gli conferisce quando dice che Dio si fa presente nel mondo e si esprime con la voce dei bambini e dei lattanti e ci costringe tutti a rimeditare di nuovo il nostro percorso e a ridargli il suo originario significato di ricerca di quel Dio che così spesso ci sfugge e scompare lasciandoci poveri di tutto e del tutto insignificanti mentre il tempo della nostra vita si sbriciola irrimediabilmente, sbriciolandoci senza sosta. Ma poi o A..., o Anna Francesca, o Chiarastella o Antonio o Simeone arrivano e rendono di nuovo compatta e intera la nostra esistenza e la nostra volontà di proporre qualcosa che duri in eterno perché questa è, in fondo, l'unica irrinunciabile aspirazione della nostra esistenza.

In questo grandissimo momento io vi auguro che la vostra vita familiare sia felice oggi e da oggi per tutta l'eternità nell'unità dell'Amore.

Altro non so dirvi perché le parole sono deboli riflessi della luce che portiamo dentro e io non sono neppure capace di manifestare la presenza di questi riflessi perciò accetto con umiltà il limite della condizione umana e della mia in particolare che è più inadeguata di altre. Come sempre cercate di spremere l'intenzione dalla povertà del contesto e siate contenti come lo sono io perché in questo momento lo sono proprio completamente.

Con affetto.

Anna

Da una lettera di Anna Maria Feder Piazza. 1985


17 febbraio 1991 quarto anniversario della morte di Anna Maria

 

         «Ecco quanto è buono e quanto soave che i fratelli vivano insieme» Salmo 133,1

Cara .......

questa strana lettera rappresenta la realtà tangibile di un'altra realtà più profonda, più vera, più concreta che esiste dentro di noi tutti, probabilmente non bene acquisita, e dentro di me ormai chiara e matura perciò non più mia ma tua. Per questo scrivo. Non che lo faccia spesso, anzi non lo faccio mai; forse quand'ero giovane l'avrò fatto qualche volta, nella persuasione che la vita, la ricchezza interiore, l'esperienza e i sentimenti umani si possano trasmettere a parole ma oggi so per certo che questa è presunzione umana e scarsa Fede, perciò parlo poco e scrivo meno.

Perché allora? Non per le ragioni di cui sopra ma per una molla dentro che il tempo non ha consumato in me ma ha aumentato a dismisura, il tempo e, io credo, la Grazia di Dio, cioè lo Spirito Santo (non t'arrabbiare perché non parlo per te ma per me, ti sto raccontando la mia strada e le mie giustificazioni per farmi capire da te e queste sono). La mia molla è il Bene che vi voglio, che ti voglio, ti parlo perché ti amo con la tenerezza con cui amo la mia famiglia cioè questa casa e questa gente, come tu ami i tuoi figli, anche io i miei e te, che sei nè più nè meno uno di loro.

L'Amore fa fare delle pazzie e questa è una di quelle, perché so troppo bene che da vivi più si parla e meno si capisce e l'unica possibilità di comprensione tra esseri umani è nella coscienza profonda di essere nella stessa barca e di percorrere, ciascuno a suo modo, con la sua vocazione, il suo temperamento, la sua Proposta, la sua età e i suoi mezzi, la stessa rotta. Il segreto di questa nostra strampalata combriccola, della sua «attuale» profonda compattezza è in questa segreta coscienza oscura se vuoi, perché non comunicata, di questa realtà. Tu ne fai parte. Per quanto la rifiuti e ci possono essere mille e uno motivi, tu ne fai parte e forse anche in questo si possono ritrovare i semi della tua crisi. Ma questo adesso non importa. Tu cosa vuoi? Una vita che abbia senso, la libertà di ricominciare da capo, un amore senza fratture, la comunicabilità con gli altri, la fine della solitudine, la gioia di amare tutti e di essere amata da tutti, la coscienza di dare e non di disperdere, una totalità senza alternativa, o qualcos'altro?

Più ti penso e più mi penso e più credo che sia questo quello che vuoi. lo ce l'ho. lo so dove si trova, io non posso fare la tua strada ma anch'io ne ho fatta una e non credere che le mie crisi siano state più brevi e più leggere. Le crisi sono proporzionate ai temperamenti e nè il mio nè il tuo sono facili da manovrare soprattutto dai proprietari. Ecco l'unica differenza può essere stata nell'essere io partita con il piede giusto e tu con quello sbagliato, cioè un diverso modo di porsi di fronte alla vita ma questo fa parte di due avventure diverse, di due grandi giochi diversi nella strutturazione non nel contenuto, le piste si possono smarrire in tutti due i sensi e si smarriscono, sta tranquilla, ma si ritrovano anche.

È questione di tempo, di speranza (meglio se c'è ma si fa anche senza, chè Dio non ha bisogno della mia o della tua speranza per giocare nella mia e nella tua vita e per esservi presente) e di Amore.

Ecco, l'unica cosa che dovresti fare sarebbe quella di lasciare andare la tua voglia di Amare liberamente senza farla sempre attorcigliare attorno alla tua anima fino a farla diventare pianto e ribellione, ansia e fuga .

... a 15 anni ti lasciavo fare ma adesso te lo devo proprio dire che sbagli sempre la manovra, solo la manovra, continui a non capire il meccanismo ed è semplice e tu lo complichi e lo attorcigli, proprio tu che sei nata per amare, che non sei capace di fare altro e invece li pasticci sempre tutto.

Se tu un'ora sola della tua vita la smettessi di essere ostinata capiresti tutto, ma forse non puoi, non sai o forse non è ora. Pensavo proprio stamattina che il Vangelo è pieno di ciechi. Poi ho pensato a te e ad altri che in questo momento mi fanno penare e ho capito cosa voleva dire. Anche don Firmino torna sempre su questo discorso dei ciechi. E io capisco che uno che vede non riesce a far vedere a uno che è cieco e viceversa, ma io anche sono ostinata nell'amore e se sono ostinata io che sono nel tempo e mortale e piena di difetti quanto più Dio che ti ha creata, voluta così e messa qui con il tuo percorso e la tua libertà?

Rifletti su questo: vuoi essere libera di possederti e vuoi anche amare perché  è l'unica cosa che sai fare al fondo di te; questa è la tua alternativa di sempre e quella in particolare di adesso: le due cose non possono stare assieme, ne puoi scegliere solo una delle due sul piano esistenziale e con la massima radicalità: se vuoi essere libera di possederti pensa bene che dovrai totalmente rinunciare a sapere cos'è l'amore, saprai cos'è la libertà e penso che tu ne abbia già fatto tante esperienze: arrivare e poi partire, sempre, sempre, sempre, in compagnia di te stessa, solo di te stessa e nessuno di più; chi vuole possedersi non permette all'amore di essere quello che è per sua natura, abbandono e possesso degli altri, è porre sempre un confine, più avanti o meno avanti ma è automatico. Ma mi sai dire che cosa te ne fai della libertà? La libertà è una parola che è vuota, è un viaggio che non porta da nessuna parte, è Adamo che pone un limite a Dio, è questo “lo” che ha paura di farsi soffocare e muore di consunzione e asfissia.

Scegli l'Amore, l'Amore è come il mare, ti dimentichi di te e ti regge lui, dici di sì a tutto e a tutti e non escludi nessuno, impari a misurare la capacità di estensione della tua anima, non ti vergogni neppure a scrivere una lettera che forse non porta da nessuna parte. Che importa al mio Amore se rifiuti quello che ti scrivo? Questo è il mio modo di dirti che tu mi appartieni, ci appartieni, ma non per questo breve tratto di strada che è troppo corto per le mie pretese ma per un eterno Presente in cui io voglio ritrovare tutto il mio Amore e tutti i miei amori, quando le mie capacità saranno aumentate a dismisura come quelle di Dio, di amare tutti e ognuno.

Tu scuoti la testa e io no, ma non sarò io che mi perderò nella polvere con te ma tu che risplenderai nella Luce con me perché questo io voglio e questo avrò.

Guarda bene, se scegli l'Amore avrai tutto perché  l'Amore, togliendo le barriere delle nostre menticciole, ti permetterà di accettare le creature che incontri perché non si incontra nessuno per caso, noi, non perché siamo una alternativa alla tua noia, ma perché siamo anche noi quello che tu hai incontrato, e vedrai che in questa coscienza profonda della vita ti resterà poco tempo per la libertà e meno ancora per il desiderio di averla, quando si è molto indaffarati ad amare e ogni minuto è gioia e attesa di qualcuno non c'è tempo nè voglia per essere liberi. La libertà è solitudine e l'amore è una grande prigione dove si sta benissimo. Comunque c'è un'unica cosa da fare in questi casi, bisogna essere radicali: o una strada o un'altra ma poi avere il coraggio non di dire l'ho dovuta subire ma l'ho scelta e su quella andare fino in fondo.

Questa è l'unica libertà autentica.

Naturalmente queste sono parole, più facili da scrivere che da vivere. Però se qualcuno le scrive è probabile che qualcuno le abbia vissute. Prendile come confronto di esperienze e come testimonianza che ti vogliamo bene che puoi venire con noi se vuoi venire con noi, se non vuoi e non puoi, noi ti vogliamo bene lo stesso ma forse non riusciamo a mettere insieme la nostra felicità ed è peccato perché il Paradiso può cominciare già qui.

Bacioni, Anna

Da una lettera di Anna Maria Feder Piazza ad un'amica.

 

Stampato a cura degli amici della «Fondazione Anna Maria Feder Piazza» che cercano di realizzare i suoi sogni, di vivere il suo esempio,

di pregare con lei.


17 febbraio 1990 terzo anniversario della morte di Anna Maria

 

«Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi . . . » Giov. 15,16

                                                                                                                                                                                        

... se uno ti chiede un piacere, Qualcuno lo ha mandato; digli di sì, se puoi. Io sono tutta in questo, forse sono tutta solo questo. Se mi guardo dentro e se mi guardo attorno mi ritrovo sempre e solo così. Non mi chiedo mai se e quanto serve e tanto meno a chi. Cerco di dire di sì e basta, il resto è affare di Qualcun altro.

lo ho le mie pazze idee che sono queste: c'è un Posto dove si deve arrivare e lì c'e pace e gioia. Tutto quello che pensiamo e facciamo resta creato per sempre, non si vede adesso ma è in quel posto. Qualcuno ogni giorno realizza il tuo gioco di vivere facendoti delle proposte, il tuo gioco di vivere tu non lo conosci, lo scoprirai intero l'attimo in cui arriverai in quel posto e saprai alla fine chi eri, quali sono le tue dimensioni e contemplerai i tuoi legami con tutta la gente che hai incontrato e avrai tempo, cuore, mente per tutti e per ognuno.

Non avrai che quello che avrai amato, ma quello lo avrai tutto e in misura piena e finalmente tutto avrà senso: quell'ansia che mi rode, quell'inesausto bisogno di possedere e di amare, quella perenne paura di perdere quelli che amo.

La vita ogni giorno mi si allarga davanti più ricca, più rischiosa, più impegnata, come una giostra che gira; per fermarmi posso lanciarmi nel vuoto e non essere più che un oggetto che non serve a nessuno, un rottame o accettare la corsa sulla giostra ma senza paura, è la giostra che porta e se ci sono salita vuol dire che era la proposta fondamentale. Chi me l'ha fatta sapeva che potevo montarci, proprio su quella. Se io smetto di credere a questo non so a che cosa credere e io non so vivere senza credere ma non posso credere solo un po', ho troppa paura per questo.

Noi dobbiamo arrivare in quel posto, allora tutto quello che adesso è pena e mistero sarà Verità e gioia e ognuno avrà di un altro tutto quello che è riuscito ad amare. Ecco, devo uscire e non posso continuare. Nel mio posto, per amare non occorre mai partire né staccarsi, per questo ci voglio andare.

Anna

Dall'appunto lasciato a Checco prima di partire per uno dei tanti impegni di servizio. 1969.


17 febbraio 1989 secondo anniversario della morte di Anna Maria

 

PENSIERI DA TRE LETTERE DI ANNA MARIA

Leggere le lettere di Anna Maria Feder Piazza significa entrare in un cerchio magico, in cui parole e immagini sono sintesi sempre viva di fede e di grazia, anche se la battuta di spirito ‑ a volte frizzante come un vino nuovo ‑ ti pungola e ti richiama al quotidiano dell'esistenza, mentre la riflessione ti illumina come una lampada e il sentimento è un fiume in piena, ma senza il limo, acqua sorgiva.

È così che dalla stanza di S. Bona prima, dalla casa di Via dei Biscari poi, aperte ad una variopinta presenza comunitaria, tiene i contatti con le persone lontane a cui si sente vicina per idealità e apostolato, con quella inventiva e vivacità discorsiva che rendono la sua corrispondenza unica, in un secolo di messaggi telegrafici o di dialoghi al telefono.

Come quando, dopo essersi garbatamente scusata con un'amica per un lungo silenzio epistolare, esprime la sua felicità per aver trovato il momento di prendere la penna in mano perché « ...per una rarissima occasione sono sola; ho spedito tutta la mia tribù, un po' riluttante, ai Santi Esercizi Spirituali, compreso il beneamato Francesco... ». Preludio distensivo che non ha nulla di frivolo, necessario peraltro ad introdurre a riflessioni ben più impegnative, in cui appare tutta la volontà di superare gli ostacoli che le si frapponevano in un momento difficile per le attività scautistiche e le sue responsabilità di Commissaria Nazionale A.G.I. per la Branca Guide.

Con la decisione nell'azione e con la certezze delle sue convinzioni, che rappresentavano alcuni aspetti del suo carisma di capo, affermava più avanti: « ... ognuno deve restare al posto dove è stato messo, nell'ora in cui è stato messo, altrimenti non c'è fede e non si può modificare nulla dalle fondamenta.» perché:  «i miracoli bisogna provocarli con tutte Le forze ed io, con la mia Branca, in mezzo ad enormi difficoltà, cerco di farlo. Ho fra un mese un raduno (..) che mi preoccupa moltissimo, e mi affido alle tue preghiere confidando nella Comunione dei Santi...».

In un'altra lettera del 7 Novembre 1969, parlando del gruppo che si era formato attorno a lei, scriveva: «La nostra comunità è sempre bella, anche se come tutte le cose belle e vive, uno se la deve guadagnare con tante rinunce, tanta pazienza e tanto sudore. L'importante è che viva e che in questo mondo, alla ricerca di esperienze nuove e spesso troppo semplicistiche, sia una testimonianza valida e vera. Io vivo fuori dal mondo perché tutto il mio tempo lo passo a ricevere e ad ascoltare.» Esplicito e qualificante impegno che Anna si impone: il ricevere e ascoltare! In un mondo ormai proiettato verso il consumismo, in una società di esibizione e di proposte, di guadagno e di possesso, un Cireneo riceve e si carica della croce dell'ascolto, invisibile e modesta ma quanto pesante e rifiutata.

«Spesso alla sera» ‑ confessa ‑ «sono ipertesa perché vorrei vedere un po' di lavoro concreto uscire dalle mie mani e invece mi sembra di non concludere nulla,» ‑ ma poi aggiunge con lucida coscienza ‑ « ... mi domando se sia proprio necessario che noi vediamo con gli occhi o se non basta che veda Dio. Ma alle volte ci vuole più fede di quanta ne ho io. Ecco penso allora che Dio mi abbia messo al mondo per costringermi irrimediabilmente a fare atti di fede su atti di fede e più si va avanti più vedi che la fede è tutt'altro che un pacchetto da portare nella propria borsa, è come una cosa magica che quando sei convinta di averne un pacchetto e fai per scartarlo, ti accorgi che non ne hai neanche un granino, e allora sei costretta a lasciare lì di nuovo tutto e ricominciare a raccoglierne. Si impara solo una cosa: a non custodirla come un pacchetto ma a tenerla sempre in mano pregando che quando la mano si dovrà aprire, ne abbiamo tanta quanto basta per quell'ora e quel giorno. Insomma è proprio il dono e la pena più grossi di tutti».

In questa corrispondenza epistolare con un'amica missionaria che operava in Africa presa dall'ammirazione per l'esperienza eccezionale che costei viveva, scrive con empito e passione;  «ma allora, esiste un mondo vergine in cui cadono le barriere e si può cominciare nuovi. Non è importante dove sia questo mondo, a me non importa raggiungerlo materialmente, purché ci sia, perché allora è più facile credere e lottare per la Verità che sentiamo dentro di noi e a cui spesso ci viene la tentazione di non credere.» E continua di slancio: «Allora ti ho conosciuta. Ho capito quanto fosse importante per me e non solo per me che tu avessi fatto tutto quello che hai fatto perché noi ne abbiamo bisogno, un disperato bisogno di sapere che c'è una giovinezza che non muore, che c'è una ricchezza inesauribile; abbiamo bisogno di avventura e di eroi, abbiamo sete di trasfigurare le vicende umane, esteriormente povere, in opere d'arte».

Quale esempio di energia e insieme di fantasia espressiva per tanti giovani nostri!

     « E tu eri tutto questo: una promessa realizzata, un avamposto ben difeso, e il pensiero che eri una donna con tutto quello che di debolezza e di sconforto, di fragilità e sensibilità esso comporta era ancora più bello. Tu forse ritieni di essere andata in Tunisia per aiutare gli arabi e non sai che il lavoro più grosso, più impegnativo e valido l'hai fatto ai tuoi, a quelli che hai lasciato, che neppure co­noscevi. E questo è il Corpo Mistico, la più bella delle belle promesse e delle belle realtà che confortano il nostro cammino»>.

     Presa dalla volontà di partecipazione che la preme, anche lei vorrebbe arrivare laggiù ma poi riconosce che il suo «avamposto sta qui», « ...mi è di grande conforto il pensare che tu esisti e hai realizzato molti dei sogni della mia anima. Così mi sembra che non sia importante che lo faccia io, perché l'hai fatto tu con amore e l'amore è un tessuto in cui la vita di uno si compenetra in quella di un altro, è come un grande fiume che tiene in sospensione mille e mille cose fino a che tutti insieme arriveremo al mare e lì ci dondoleremo contenti di essere tutti la stessa cosa».

La terza lettera, del 1980, è densa di riflessioni sulla vita e sulla morte, che non appaiono casuali in questo secondo anniversario. Oggi sentiamo la sua presenza ogni istante più vicina mentre nei primi giorni, dopo la sua scomparsa, eravamo come straniti dal dolore e la temevamo perduta, alienata per sempre.

«Non è casuale l'ora in cui si muore, il che in un certo senso deve tranquillizzare il nostro cuore: esiste nella nostra vita quotidiana e di relazione un enorme mistero che ci portiamo dentro, senza riuscire mai a possederlo ed è il mistero della vita di cia­scuno di noi che si dilata nel tempo secondo un preciso filo che sfugge a chiunque, compreso il proprietario, ma esiste perché, altrimenti, non vivremmo neppure. E questo mistero che ci accompagna e vorrei dire che vive una sua vita nella nostra vita, un giorno si fa presente allontanandosi da noi e se ne va o meglio si sostanzia divenendo un'unitá che è noi ed è altro che noi, ma questo non accade né per caso né fuori del giusto tempo... ci sentiamo attori, ma recitiamo, senza sapere, un copione scritto da altri e subito siamo spettatori di noi stessi. Abbiamo solo due al­ternative: o di sentirci burattini folli, immersi in una folle avventura senza senso, sospinti verso un inghiottitoio buio, dopo esse­re passati su passerelle traballanti... oppure il mistero ha un no­me e si chiama Dio... ».

È difficile essere più lucidi e più pregnanti nel presentare il dilemma della vita‑fede per il quale come afferma l'Anna noi scegliamo una terza via, quella più facile del compromesso «più consona al nostro Io attuale... di non proporsi mai il problema in assoluto e di rimandarlo sempre, di barattarlo continuamente per i trenta denari che distrussero Giuda e distruggono anche noi. Perché la vita, per quanto cerchiamo di sfuggire a queste prove, ce le ripropone intere, come il fantasma del padre di Amleto, che puntualmente si ripresentava. E di lì non si scappa».

Ma, insieme, Anna ci regala il fiore della speranza. Perché se da un lato la vita di ciascuno presenta la sua realtà tragica, in fondo al cammino, che si chiama morte; dall'altro il mistero della morte «ha un nome che si chiama Dio e Dio si chiama Padre ed Egli ci conosce per nome e coagula in umiltà tutta l'estensione della nostra vita, che tempo e spazio hanno dilatato. Egli ci toglie da un'esperienza per immergerci in un'altra migliore e finalmente piena».

È in questa «plenitudo» esistenziale che noi tutti vogliamo pensarla e crederla ora.

                                     Luigi Pianca

 

                          Vecchie lettere

Mi sei tornata vicino

da vecchie, belle tue lettere

che la cara Lidia mi ha fatto riavere.

Erano tempi di speranza,

la vita era tutta davanti,

la tua grande anima scrutava

per capire.

Che gioia immensa quel tuo amore

ben diviso con tutto il mondo

e quel dolcissimo spingere

a cercare.

Poi gli anni del crudo pianto,

del diluvio furente, della

marea impetuosa, della morte.

Noi travolti

come indifese cose sparse,

come rami, come alberi

da fangose acque divisi...

ma lo sai

le grandi acque non possono

spegnere l'amore né i  fiumi

travolgerlo.

                                          Francesco

 2 Dicembre 1988


17 febbraio 1988 primo anniversario della morte di Anna Maria

TESTIMONIANZE

Anna Maria Feder Piazza  4 agosto 1933 - 17 febbraio 1987

 

 Sono una signora della regione dell'Umbria e ho avuto la fortuna di conoscere e praticare la famiglia di Anna Maria Feder. Una famiglia di rispetto, onorata, la migliore del paese. Non poteva che venir fuori una bambina meravigliosa come Anna Maria.

Di carattere socievole, sincera, amica di tutti i bambini del paese, era allegra, vispa, iniziava sempre i giochi e trasportava tutti con sé. Era una ragazzina simpatica, dolce, rispettosa, studiosa, religiosa, e ubbidiente. Con tutti le ridevano gli occhi. La sua fanciullezza, gli anni più belli, li ha trascorsi qui, al piccolo paese di S. Eraclio di Foligno dove ha lasciato tanti ricordi e per il quale le rimase tanta nostalgia.

Poi finì la guerra e Anna Maria lasciò l'Umbria per andare a vivere a S. Bona di Treviso dove si è fatta tanti altri amici nuovi ed ha seguito con profitto gli studi fino a laurearsi. È stata per tanti anni maestra degli scout che erano la sua passione ed era felice di educare le giovani generazioni facendo la professoressa con uguale entusiasmo.

Il suo matrimonio felice era unito dall'amore e dal rispetto reciproco ed io andavo più spesso che potevo nella sua casa piena di amici; per me era una gioia immensa stare lì a trascorrere le ore e parlare con Anna Maria, una donna di spirito e piena di iniziative che fin da bambina aveva avuto in dono un cuore grande, paziente e generoso.

Durante la guerra, in quei momenti neri, volle che sua madre disfacesse i grembiulini suoi e di sua sorella per fare i pantaloncini al mio bambino che aveva un anno di vita. Così si nasce e sono doni che il Signore ispira, è vero, ed Anna Maria è stata scelta per fare del bene all'umanità!

Io e Anna Maria tenevamo una corrispondenza stretta e non mi separerò mai dalla sua posta, quelle lettere le tengo con rispetto, le rileggo spessissimo e sempre le sue parole gentili mi tirano su di morale. Era una donna stupenda, non potrò mai dimenticare una amica così. Spesso mi viene una spina nel cuore a pensare che non è più con noi, poi penso che si trova in cielo con la mamma celeste di tutti noi e mi riprende un po' di serenità; mi dico: questa donna ha lasciato un vuoto immenso per tanti che l'hanno conosciuta ma la sua figura mi sta sempre presente e i suoi modi, il suo sorriso, sono sempre con me, non mi sfuggono mai, lei è qui con me.

Mi scrisse che non appena fosse stata meglio sarebbe venuta in Umbria a trascorrere qualche giorno con me, ma il suo destino non ha voluto che si realizzasse questo suo sogno, ora mi viene un nodo alla gola e non riesco a continuare. Ma devo dirti grazie, per i bellissimi ricordi che mi hai lasciato, miei, tutti miei, non posso ricompensarti che con le mie semplici preghiere.

L'amica sincera di Anna Maria la Peppina Antonietti

 

Parlare di una splendida persona quale è stata Anna Feder mi rende entusiasta. So tuttavia che poche parole non basteranno a far trasparire tutto il fascino della sua energia, della sua voglia di vivere, della sua generosità e disponibilità verso gli altri.

Conobbi Anna molto tempo fa... nel 1947!

La guerra è finita solo da un paio d'anni e la famiglia di un ufficiale in congedo viene ad abitare a Treviso, proveniente da S. Eraclio di Foligno. Il padre, Col. Antonio, severo e cordiale, la mamma, simpatica, cortese e giovanile: quante guide e quanti scouts saranno amichevolmente accolti nella loro casa in via S Bona! Tre i figli: Anna, Maresa e Franco.

Anna è una guida di 14 anni. Ha fatto la Promessa a Foligno, ma a quel tempo a Treviso non ci sono che pochi scouts, spesso confusi con «Balilla». Perché allora non fondare a Treviso un Riparto AG1?, Pensa lei.

Ha bisogno prima di tutto di un assistente per il Riparto ed Anna ha la fortuna di trovarlo in Don Arduino Faccin, meraviglioso, aperto sacerdote, insegnante di religione che già lavora con i giovani della FUCI. Occorre una garanzia, una ragazza grande che faccia da Capo ed Anna trova la dolce Mariuccia e quindi raduna intorno a sé alcune compagne con le quali formare la prima squadriglia, quella gloriosa delle Gazzelle. Riesce anche a procurarsi una sede: una bella e grande stanza presso le suore dell'istituto S. Anna in piazza Duomo.

Nell'ottobre 1948 i primi «Piedi Teneri» sono pronti per la Promessa.

«Ben un anno è durato il loro superamento prove!», dice Don Arduino, con un'espressione del volto commossa e raggiante che ancora ricordo e invita tutte le trenta ragazze della mia classe a partecipare a tale cerimonia.

Io vado, ma non trovo nessuna mia compagna e penso, quindi, di aver dato eccessiva importanza all'invito. La cerimonia sarà invece meravigliosa. Subito, infatti, rimango colpita dalla serietà e dal rituale della Promessa davanti all'altare e nelle mani della Commissaria Regionale: il saluto, la Legge delle Guide, quell'«ora fai parte della grande famiglia delle Guide» e i canti, che commozione!»

Al termine Don Arduino mi fa conoscere queste prime otto Guide: Mariuccia, la C. R., Anna Cursi, Vittoria e Irene Magno, Franca Serena, Marisa Gardin, Maresa Feder e... quindi Anna. Sarebbe finito tutto se il sabato seguente Anna non fosse venuta a prendermi a casa per accompagnarmi alla riunione di Riparto. Anna non si perde in chiacchiere: a pochi passi da casa dice: «La Promessa è per tutta la vita». Ed io penso: «Dirò che mia madre non mi lascia».

Una scusa questa che si vanifica nello spazio di un vicolo lungo pochi metri perché di fronte al fascino di  Anna e del guidismo non si può restare insensibili: sei mesi dopo, nella domenica in Albis, altre due promesse: Sisa Monico e me.

Si forma la seconda Sq., Edelweiss con il motto «sempre sulle cime», si parte per il primo campo a Forno di Zoldo (sempre pioggia). Poi Mariuccia lascia Treviso e ci troviamo un'altra C. R. : Bianca Potenza alla quale succede Anna che a 17 anni è la più giovane C. R. d'Italia!

Gli anni che seguono sono meravigliosi, densi di attività meravigliose perché Anna è sempre meravigliosa!

Sorgono molti Riparti in zona: lo Spresiano con Bianca che diventerà Commissaria Regionale, lo Zenson di Piave con Gabriella Dal Secco, il Noale e poi altri Riparti a Treviso tra i quali il TV2 che prima è di Velleda Tassoni, poi di Claudia Marchegiano, tanto amata e tanto rimpianta quando tornerà a soli 19 anni alla Casa del Padre.

Quante altre esperienze fino al 1961! IL Fuoco, i Riparti, la Zona, le uscite, il S. Giorgio nel parco di Villa Margherita, la proble­matica ricerca di luoghi adatti ad ospitare i campi di Zona che vedono annualmente la partecipazione di un centinaio tra ragazze e capi. Se ne fanno una decina tra cui i più belli sono quelli del «Cervo Bianco» e della «Freccia d'argento» e poi Anna diventa Commissaria Regionale perché Lidia Rossut, prima grande Commissaria del Veneto va in Africa come Missionaria laica; è affiancata dall’Assistente Regionale Don Sandro Gottardi che nel 1963 diventerà Arcivescovo a Trento.

Lavorare con Anna è una gioia sempre nuova: è sempre allegra, leale, generosa, riconoscente, affettuosa, comprensiva e fonte inesauribile di idee fantastiche. Lei dà fiducia a tutti e questo è fondamentale perché sapere di essere apprezzati per quello che si è e capiti per quello che si fa con entusiasmo ed impegno aiuta a superare le insicurezze ed a valorizzare il potenziale di ognuna di noi.

Quanto ero orgogliosa di essere sua amica e quanto ero felice di avere il privilegio di lavorare con lei!

Con grande dispiacere lasciai lei e le mie guide per trasferirmi a Trento impegnata nel mio servizio di moglie e di madre.

Brevi incontri poi, ma sempre preziosi: «Quello che abbiamo dentro nessuno può togliercelo ‑ diceva ‑ e al momento opportuno verrà fuori perché l'impegno di dedicarci agli altri è per sempre».

                                                                                                                      Olga Schiavinato Tornasi

 

Ho conosciuto Anna come allieva in una prima liceo, forse del 1948; l'ho avuta, poi, dopo la laurea, quale vivace collaboratrice di «Quattroesse», il giornalino della Scuola, come collega di insegnamento alla Media  «Serena», come insegnante alla Media «Coletti», dove per tredici anni fu mia vice‑preside.

Sono indicazioni aride di una carriera troppo breve, ma percorsa ‑ direi ‑ con molte soddisfazioni, nella quale Anna profuse tutte le sue energie di educatrice ed insegnante verso i figli degli altri, non avendole concesso il destino di averne di propri.

Parlare di chi non è più con noi e ci ha lasciati è difficile; troppo spesso non si riesce a dire solo la verità; parlare di Anna è facile, perché tutto il bene che si voglia dire di lei è «la verità».

Quando lasciai la Scuola nel 1977 mi scrisse una lettera profondamente sentita, di cui purtroppo, per ovvie ragioni, posso riportare solo uno squarcio. «Io non amo il sentimentalismo, anzi, lo detesto e lo disprezzo, ma mi sembra di essere vile e di tradire l'essenza che la vita ci offre da vivere se, per pigrizia, faciloneria, debolezza o superficialità non mi fermo a considerare e celebrare i fatti e gli incontri che scandiscono i tempi della mia vita e la modellano in un certo senso».

Fedele a questo suo insegnamento ho voluto rileggere le note informative stilate, chiaramente a freddo, negli anni in cui fu alla «Coletti». Nel 1965 dicevo di lei che, «pur essendo insofferente delle scadenze burocratiche che la Scuola impone, la sua efficacia didattica e la sua azione educativa erano lodevoli; che, richiesta di collaborazione nella direzione della Scuola, la dava generosamente e con intelligenza; che sapeva farsi amare dai ragazzi con i quali era in lodevoli rapporti di amicizia»; e tra le attitudini personali scrivevo (nel 1968) che «era simpatica e ben voluta dagli alunni, con i quali applicava in classe metodi democratici, sfruttando le sue esperienze del mondo scautistico».

E nel 1966 avevo scritto che «pur essendole toccata una classe di elementi scadenti, sotto ogni punto di vista, ne cavava abbastanza, grazie alla sua capacità di galvanizzarli e di creare in loro uno spirito di classe».

Queste sue qualità, che figuravano quali informazioni riservate, erano, in realtà, note a tutti, ai suoi alunni innanzitutto, che la consideravano una brava sorella maggiore, di cui ci si poteva fidare, ai colleghi che ininterrottamente la elessero, con votazioni scontate, nel Consiglio di Presidenza, ai tanti amici che furono sempre intorno a lei e a Checco, ai cani (no, non sono blasfemo) i quali erano pur sempre creature di Dio, con una qualche ragione di vivere, di amare e di essere amati.

Quando lasciai la Scuola, Anna vi restò ancora per poco tempo.

Fu l'epoca di un'amicizia sincera, delle visite nella mia casa in collina, con amici e con una cordialità senza pari; nell'ultimo periodo della sua sfortunata esistenza, un giorno, le lessi ciò che stavo facendo; parlavo sempre io, per non costringerla ad affaticarsi, ma la sua approvazione per quanto ascoltava era entusiastica, le ridava gioia e consolazione e, forse, speranza.

Oggi noi la ricordiamo. La folla dei suoi amici ed ammiratori, se ci fosse tutta, non potrebbe entrare neppure in dieci chiese come questa; noi siamo i fortunati presenti.

Ti ringraziamo di tutto, Anna, anche di ciò che non ammette spiegazioni e impallidisce di fronte a parole inadeguate e incapaci; ti ringraziamo, soprattutto, dell'esempio che hai dato, nel bene e nel male.

Athos Sivieri

 

«Ognuno di noi, nel profondo del suo essere, in un particolare tempo della storia, genera un messaggio che è come una creature viva, e questo messaggio cade nel profondo di un altro essere che lo accoglie col compito di mantenerlo in vita per generare qualcos'altro di vivo. questa operazione, per essere umana, ha bisogno di rispettare il tempo della storia e della vita, perché siamo tutti labili creature, e ciascuno, col proprio carico di gioie, di ansie, e di problemi è questo terreno di accoglienza del messaggio che ci è giunto».

In questa lettera del settembre 1986 Anna Maria, la donna educatrice di sempre, rivela, con pudore e lucida consapevolezza la maturità spirituale alla quale il Signore l'aveva portata per vie misteriose e dolorose, ed insieme la maturità educativa. Una vera educatrice infatti non trasmette nozioni astratte e neutre, bensì «messaggi» di vita, perché destinati all'uomo e per la maturazione della persona. Perciò sono messaggi ‑ in qualunque «operazione» d'insegnamento o di educazione si concretizzino che devono essere «generati».

Questo l’Anna aveva compreso, sentendosi chiamata a una maternità spirituale, col sacrificio della sua maternità fisica, che la impegnava su orizzonti più vasti e con una dedizione ben più profonda. IL rapporto educativo va da persona a persona ed è un fatto generativo, come ha sempre insegnato la grande tradizione classica e cristiana. Operazione di vita, e perciò umana, che esige di rispettare anche i tempi e i modi della vita personale e di quella collettiva, col realismo della storia dei gruppi umani. Quanta «pazienza» in questo rispetto dei tempi reali di maturazione! Quale lezione di vita in questo sacrificio delle proprie impazienze, dei propri desideri, anche dei propri slanci apostolici! Le persone non hanno i ritmi e le modalità di crescita che noi vorremmo. La tolleranza, la libertà, la pazienza forte e operosa sono i segni più maturi dell'amore alla realtà umana. Ma la fede dell’Anna, cresciuta attraverso esperienze difficili di sofferenze fisiche e spirituali che toccarono l'eroismo, le aveva rivelato la radice più profonda di questo amore alla vita; mistero che solo la frequentazione attenta e disponibile ‑ da vera discepola ‑ della Parola di Dio poteva rivelare.

Ed ecco la rivelazione: «perché tutti siamo labili creature». L’ Anna forte, intraprendente, creativa e sicura, era diventata l’Anna labile, fragile, povera. Ma proprio in questa fragilità ella aveva raggiunto la vera fortezza secondo La fede. Perché la coscienza sperimentata ed accettata della propria fragilità l'aveva liberata da ogni idolatria e da ogni presunzione. Il miracolo del suo «messaggio umano», di questa generazione spirituale tra persona e persona, si realizza infatti solo quando sono vinte le resistenze e le durezze: nella fragilità, appunto.

«Col proprio carico di gioie, di ansie, e di problemi, ciascuno è questo terreno di accoglienza del messaggio che ci è giunto». Dobbiamo essere umani, soltanto umani ‑ sembra dirci l’Anna, quale suprema parola che ella ha vissuto e pronunciato ‑ perché il terreno umanissimo è quello dove la Parola di Dio diventa carne e rende divino l'uomo. La redenzione è resurrezione. Ogni uomo, nel suo farsi uomo autentico, ne è destinatario e artefice insieme. È questa la nobiltà che Cristo ci ha donato insegnandoci anche le regole che essa esige.

                                                          Don Lino Cusinato


19 Marzo 1987 nel trigesimo della morte di Anna Maria

 

Anna Maria: un inno alla vita

 

 Anna Maria Feder Piazza ha concluso martedì scorso la sua vita terrena, a 53 anni, dopo un lungo calvario di sofferen­za che ha consumato il suo corpo ma purificato e impreziosito il suo spirito.

Anna Maria: fondatrice e guida dello scoutismo femminile a Treviso, insegnante dalle singolari capacità pedagogiche, amica illuminante e stimolante del marito Checco nel suo iti­nerario artistico, donna sensibile e intraprendente nel cena­colo di preghiera che coltivava da anni (dove Parola di Dio e devozione, esperienza e ricerca spirituale si fondevano in sin­cerità di fede), amica accogliente e generosa che aveva tra­sformato la casa in una dimora dell'amicizia più cordiale, ve­ra ed aperta, figlia matura della Chiesa sollecita ad ogni pro­blema pastorale e ad ogni bisogno di carità.

Solo richiamare alla memoria commossa le innumerevoli direzioni, in stagioni vicine e lontane, in cui ella si è mossa, discretamente quanto tenacemente, lasciandosi coinvolgere e coinvolgendo, si avverte un senso di vertigine. Contempla­zione silenziosa e catechesi attiva, apostolato parrocchiale, e guida associativa, solidarietà con gli ultimi e cooperazione missionaria, esperienze artistiche e professionalità educati­va. Davvero una donna dai mille orizzonti, nella semplicità di un quotidiano vissuto in straordinaria intensità.

A chi è toccato in sorte ‑ un privilegio ‑ di entrare nella sua anima condotto per il sentiero dell'amicizia spirituale, sa che il suo zampillo freschissimo di vita era da lei coltivato ma in nulla trattenuto per sé. Come la foglia che al mattino offre al sole la goccia di rugiada raccolta nella notte; e sa, godendo e soffrendo, che non è per lei.

                                                                                               don Lino Cusinato 

da «La. vita del Popolo» del 22 febbraio 1987

               17 Febbraio 1987

 Da cinquantatrè anni sei mesi

tredici giorni ti cerco, Signore!

dolce abisso d'amore.

 E oggi, col buio negli occhi,

la traccia, senza cercare,

ho trovato, senza guardare.

È là, sotto gli alberi vivi

dell'orto che dorme,

 dimentico ormai dei profumi,

dei suoi smaglianti colori estivi.

T'ho trovato; m'hai preso per mano.

 T'ho mostrato il gazebo,

 i viali, il giardino,

la mia casa, la città più lontano,

sfumata nel nebbiar del mattino.

C'è a volte, a febbraio, un grigiore,

ma non mai quello tristo novembrino

che ti dà malinconia.

Mi ricordo ch'uscivo

a cercar qualche tepore,

a guardar sulla via,

lungo il fossato,

se mai un cespo di primule

fosse sbocciato

a segnar primavera.

Ora, ch'è calata la sera per sempre,

per me, su tanti affetti,

su queste cose care,

lasciati guardare,

Signore,

lasciati guardare!

 

L. Pianca 20.02.1987

 

 

 

 

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