"ALBERI ANIME"
Mostra Acqueforti di Francesco Piazza -
La Rinascente - Padova - 2018 Libro di cortesia: commenti e osservazioni |
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"ALBERI ANIME"
Mostra
Acqueforti di Francesco Piazza dal 21 novembre al 2 dicembre 2018 -
Galleria la Rinascente - Piazza Garibaldi, Padova.
Inaugurata
a Padova, alla presenza di
Chiara Gallani, Assessore all'Ambiente del Comune di Padova, la
mostra di acqueforti di Francesco Piazza "Alberi Anime".
Molto apprezzata la presentazione di
Nicolò Menniti-Ippolito
che ha legato sapientemente l'opera poetica con quella grafica
dell'artista.
La mostra è stata organizzata dal
Comune di Padova e
dalla Fondazione Feder Piazza
onlus in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi.
Prolusione
Il poeta Paolo Ruffilli, parlando delle acqueforti di Piazza, notava
giustamente che sono dominate dalla assenza e dal silenzio. L’assenza è
quella dell’uomo, che appare in queste immagini solo attraverso i suoi
manufatti; il silenzio è quello di una natura che per un attimo sembra
disabitata, immobilizzata nella durezza del metallo, eppure estremamente
viva. Perché è nella vita di quegli alberi, di quel sottobosco di luci e
ombre, in quelle foglie al vento mentre fluiscono le stagioni che si
ritrova la presenza umana. Ed in questo Piazza si ricollega ad una
tradizione che attraversa tutta la cultura veneta, con quel suo
interrogare il rapporto tra natura e civiltà che si ritrova tanto nelle
immagini quanto nelle parole. Scriveva Mario Rigoni Stern in Arboreto
selvatico che “con il popolo degli alberi i nostri antenati avevano un
rapporto più diretto ma anche più conoscitivo e rispettoso in forza di
religione e per sensibilità”. Proprio di questo rapporto parlano le
acqueforti di Piazza, che sembrano voler riallineare l’uomo
contemporaneo con questo rapporto perché –usando ancora le parole di
Rigoni Stern - “Quando gli uomini vivevano dentro la natura, gli alberi
erano un tramite di comunicazione della terra con il cielo e del cielo
con la terra.”
In questo senso Piazza potrebbe essere considerato un anticipatore di
quella che qualcuno chiama dendrosofia, ma più in generale è la passione
per gli alberi e le foreste, alla ricerca di “connessioni spirituali” di
cui sono in qualche modo generatori. Potrebbe sembrare “new age”, ma è
invece qualcosa di molto più antico, o almeno lo è per Piazza. Roger
Deakin, uno dei grandi viaggiatori nel mondo delle foreste, scrive in
Nel cuore della foresta che “gli alberi fermano il tempo”. Trasmettono
insomma un senso della eternità, della permanenza, che contrasta con
quel dileguare della vita che l’opera umana sembra volere fissare in
forme che però inevitabilmente decadono. Un altro grande appassionato di
alberi, Anton Pavlovič
Čechov,
alla vigilia della propria morte, chiude la sua ultima commedia, Il
giardino dei ciliegi, con questa didascalia “Si sente un suono lontano.
Sembra venire dal cielo, il suono di una corda di violino che si spezza,
un suono triste, morente. Silenzio, lontano si sente solo la scure che
si abbatte sui ciliegi”. Ma ancor meglio in Zio Vanja fa dire ad un suo
alter ego “quando io passo accanto ai boschi dei contadini che ho
salvato dall'abbattimento, oppure quando sento stormire una giovane
foresta piantata con le mie mani, mi convinco che il clima è un poco in
mio potere, e che se tra mille anni l'uomo sarà felice, una parte di
responsabilità ce l'avrò io”. Questo senso della durata, della eternità
degli alberi, la sensazione che la fine del giardino dei ciliegi, la
fine delle foreste coinciderebbe inevitabilmente con la fine
dell’umanità stessa è molto presente nelle immagini di Piazza. Come
anche la vitalità di una natura che rigenera sé stessa e che l’uomo non
può non imitare e invidiare. Scrive Enzo Bianchi, il fondatore della
Comunità di Bose, che “L’albero vive un’alleanza tra vita e morte
differente dalla nostra: è possibile, per esempio, che la morte colpisca
una o più fronde, persino un insieme di rami, senza che muoia l’intera
pianta”. Imparare dagli alberi allora: “S’è rinnovato il carpino /
verdeggia ancora l’acero, gonfio-gemmato è il frassino / questa è la
vita!” – scrive Francesco Piazza in una sua poesia. Le ferite della
vita, il dolore della perdita, il trascolorare delle amicizie, delle
illusioni, delle speranze, trova un contraltare in quella stabilità
della natura che l’albero, più di ogni altra pianta rappresenta. Ma non
solo questo, c’è anche la bellezza che per Piazza si ammanta di divino,
ma suona molto simile a quella che un grande nichilista, il filosofo
padovano Andrea Emo così nei suoi diari sintetizzava: L’albero che non
sente, non vede non sa né conosce, che non parla se non con i venti, è
però compiuta bellezza, un’armonia, una simmetria. Un equilibrio di
forme, una suprema innocenza, una mancanza di colpa”. E ancora:
“L’albero conosce perché crea”. Ecco: guardare le immagini di Piazza,
anche quelle più spoglie, autunnali -che sono forse le più frequenti-
trasmette questo senso di una bellezza viva, intensa, anche se
minacciata dal tempo, dall’uomo, dalla possibilità che tutto sparisca.
Che spariscano gli alberi, che abdichino al loro rifiorire, perché
allora sì che anche l’uomo, che in queste immagini non c’è, ma è
ugualmente presenza, diventerebbe solamente silenzio. |
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