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IL CIPRESSO
E MIO PADRE
O caro cipresso ti
accarezzo,
mentre le fronde tue
rinnovi al sole,
e tra le rame cantando
va un uccello
e sta ad ascoltar le tue
parole.
O cipresso, cipresso,
non ti smuove
dal tuo santo dolor
ch'esprimi al mondo,
nemmeno un riso, un
grido un canto,
un giocare di bimbi un
brio giocondo?
Non ti fa parer alle
genti meno oscuro,
nemmeno lo sbocciar di
rosa rossa,
nemmeno lo cantar di
uccel campestre
e il gracidare
dall'antica fossa!
Calco que' passi che
marcavo un giorno
e pure non ritorno ai
tempi indietro,
mentre, se bacio te,
albero santo,
vedo: un bimbo, un
padre, ed un ferètro.
Se canto non risuona la
mia voce,
e non provo giocondità
vociando,
ma quando bacio te,
albero santo,
so che per amar si vive
amando.
Se colgo un fior, mi
piace, sì, odorare,
quel suo profumo dolce
come amore,
ma se tolgo un rametto
dal tuo manto
provo più gioia che
cogliere quel fiore.
Tu sei, albero, il canto
di mio padre,
che morto in seno alle
lontane zolle,
mi chiama e mi riporta
ai tempi belli,
in cui la vita era
graziosa molle.
Tu sei il ricordo, il
canto di mio padre
e pur tu muori, mentre
chi amo vive
ma in te vedo chi non
conobbi ed amo
e a me sorride dalle
lontane rive.
Gennaio 1942 |