Home |  Sostieni la Fondazione  |  Come arrivare |  Contatti  |

 

 

EVENTI 2011  Anna

 

  “Peculiarità e attualità dell’ Educazione al femminile”

 Chiesa di S. Maria dell’Orto in Roma

 

 (Documenti e rassegna stampa)

Intervista radiofonica

Invito dell'Associazione con patrocini

Locandina Paoline

Comunicato stampa Paoline

Scheda Associazione Italiana Guide e Scouts d'Europa Cattolici

Relazione del Professor Giandomenico Mazzocato

Avvenire Il volto femminile dell'educazione

http://www.liberoquotidiano.it/news/851018/Scout-le-Guide-di-tutta-Europa-riunite-a-Roma.html

http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=7541

http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=26793

http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_b.quotidiano?tema=Quotidiano&argomento=dettaglio&id_oggetto=226402

http://www.zenit.org/rssitalian-28377

http://www.oltrelecolonne.it/1405/guide-e-scouts-d'europa:-sabato-evento-su-educazione-al-femminile.html

http://www.trasteveremagazine.it/articolo.asp?id=1198

http://fidest.wordpress.com/2011/10/14/educazione-al-femminile/

 


torna

 

 Intervista radiofonica

 Radio Vaticana intervista

 Laura Casiccio, Capo Scout

 dell'Associazione Italiana Guide e Scouts d'Europa Cattolici

 

 


                           Invito dell'Associazione con patrocini                                                                         Locandina Paoline

 

torna

 A S S O C I A Z I O N E   I T A L I A N A

 GUIDE e SCOUTS D'EUROPA CATTOLICI

 DELLO FEDERAZIONE DELLO SCAUTISMO EUROPEO

                 Scheda L’ ASSOCIAZIONE ITALIANA GUIDE E SCOUTS D'EUROPA  CATTOLICI

L‘Associazione Italiana Guide e Scouts d'Europa Cattolici, fondata il 14 aprile del 1976, vuole contribuire alla formazione religiosa, morale e civica dei giovani attraverso la pratica del metodo scout, secondo lo spirito del fondatore dello scautismo, Lord Baden Powell e nella tradizione dello scautismo cattolico.

Attualmente  è presente in un centinaio di Diocesi con oltre 200 Gruppi Scouts.

19.265 il numero totale dei soci, stimato alla chiusura delle iscrizioni del 2006.

Fondamenti religiosi e inserimento nella vita ecclesiale

L'Associazione concepisce lo scautismo come mezzo di apostolato e di servizio nella Chiesa. Pertanto l'utilizzazione del metodo scout non è fine a se stesso, ma è uno strumento che serve a formare  uomini autentici, inseriti in un cammino soprannaturale nel quale siano in grado di realizzare, nel segno della loro tipica spiritualità, i valori evangelici  al servizio del mondo.

Si caratterizza per la Fedeltà alla Chiesa e alle direttive pastorali del Sommo Pontefice e dell'Episcopato.

I Dirigenti dell'Associazione, sia a livello nazionale che a livello locale, ritengono di fondamentale importanza l'inserimento nella Chiesa particolare e nella Parrocchia in cui il Gruppo Scout  opera.

Fondamenti metodologici

L'Associazione ritiene che il metodo educativo dello scautismo cattolico, applicato nella sua versione originaria, mantiene inalterata la sua attrattiva sui ragazzi e sulle ragazze di oggi. Infatti tale metodo fa appello a desideri e ad aspirazioni innati in ogni ragazzo e in ogni ragazza, (vita all'aperto nella natura, vita in comunità, gioco, impegno del servizio del prossimo mediante la Promessa Scout), li educa a valori oggettivi, ma soprattutto offre loro il chiaro punto di riferimento del Vangelo e della vita di Fede.

Nel campo politico l'Associazione mantiene la più stretta neutralità ed indipendenza nei confronti di ideologie, di partiti e di organizzazioni politiche.

Ragazzi e ragazze

L'Associazione considera lo scautismo maschile e il guidismo femminile due diverse esperienze e applicazioni dello stesso metodo educativo scout.

Quindi, per motivi squisitamente educativi e per rispetto della vocazione di ognuno, l’Associazione considera che l'educazione dei ragazzi e delle ragazze debba essere attuata in strutture distinte, nelle quali possono essere previsti alcuni momenti di incontro. I ragazzi e le ragazze sono quindi riuniti in Unità distinte, con attività separate per i due sessi, formando un movimento unico nello spirito e nella gestione, ma escludendo qualsiasi promiscuità nelle Unità.

 

Sezioni e Branche

L'Associazione è strutturata in due "Sezioni", maschile e femminile, e a sua volta ogni Sezione è suddivisa in tre "Branche" secondo lo schema seguente:

Sezione Maschile

 

Sezione Femminile

Lupetti

da 8 a 11 anni

 

Coccinelle

da 8 a 11 anni

Esploratori

da 12 a 16 anni

 

Guide

da 12 a 16 anni

Rovers

da 17 a 21 anni

 

Scolte

da 17 a 21 anni

Oltre i 21 anni si resta nell'Associazione come dirigenti e responsabili.

Caratteristiche generali comuni alle tre fasce d'età sono le seguenti.

I Lupetti e le Coccinelle vivono essenzialmente il gioco, ambientato per i primi nei racconti della giungla di Kipling e per le seconde tra i piccoli abitanti del Bosco. Imparano, secondo lo spirito del loro Protettore, San Francesco d'Assisi, che il Creato è opera di Dio, ne rispecchia la grandezza e la bontà e ne canta, attraverso tutti gli esseri, la gloria.

Gli Esploratori e le Guide accompagnano il ragazzo e la ragazza nel delicato  passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza, e vogliono  aiutarli a crescere sereni ed equilibrati, ad esercitare la loro intelligenza e la loro volontà, a crearsi un giusto rapporto con gli altri, a conoscere meglio e ad avere un rapporto confidente con Dio, in uno spirito di attenzione e di servizio, tradotto nella pratica della Buona Azione quotidiana.

I Rovers e le Scolte completano il cammino iniziato dal ragazzo e dalla ragazza nello scautismo, per essere delle persone le quali nel posto dato loro dalla Provvidenza divengano, con l'azione e con l'esempio, nella vita familiare, professionale e sociale e con il servizio costante, centro di irradiazione della verità e della carità di Cristo.

Fraternità internazionale

L'Associazione desidera intrattenere con le altre associazioni e movimenti di scautismo e di guidismo italiani e di tutto il mondo, cattolici e no, rapporti corretti e fraterni per lavorare a edificare insieme, nello spirito di Baden Powell e nel quadro del proprio progetto educativo originale, una società più giusta e fraterna.

Riconoscimenti

Nell’ottobre 1997 l’Associazione ha ottenuto il riconoscimento dalla Conferenza Episcopale Italiana, mentre già dal 1985, con il Decreto n. 240 del Presidente della Repubblica, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7/6/1985, l'Associazione aveva ottenuto il riconoscimento civile.

torna

 

 

ANNA MARIA FEDER PIAZZA,                                                                         
                        UN’EDUCATRICE RIBELLE                                                                            

Relazione di Gian Domenico Mazzocato

se ciascuno di noi avesse il coraggio
di confessare anche solo ad un pezzo di carta
qual è il segreto tormento,
l’angoscia che sporca e logora la sua vita,
forse avremmo finalmente scoperto l’uomo

(dal carnet di Anna Maria Feder Piazza, 9 settembre 1958) 

24 anni fa, il 17 febbraio 1987, moriva per un cancro ai polmoni, Anna Maria Feder, compagna e sposa del grande artista trevigiano Francesco Piazza, a sua volta scomparso qualche mese fa. Era nata a Pesaro nel 1933.
La sua vita si è svolta nel segno di una dimensione personale di energia, di proposta continua e incessante, di profonda riflessione. Educatrice, scrittrice, instancabile nella sua indagine del proprio e altrui animo. Possedeva il carisma della profezia e dell’itinerario mistico. Ha insegnato a generazioni di allievi, ha fondato lo scoutismo femminile (giovanissima, nella Treviso misogina e un po’ bigotta del secondo dopoguerra), ha radunato amici, alunni, interlocutori. Ha ispirato e indirizzato l’arte del compagno della sua vita.
Suscitava emozioni, di ognuno faceva emergere il meglio, orientava scelte di vita. Ironica e fantasiosa, concreta e curiosa, colta e sensibile, ha messo la parola (letta, comunicata, ascoltata) al centro della vita. La malattia (la sua, apparsa più volte, e quella dei suoi cari) l’ha devastata, ma non ne ha scalfito l’anima.
Anna era persona complessa, perfino complicata. Ma sapeva elaborare, tradurre. Aveva talento naturale per questo, ma ci lavorava anche sopra, affinava gli strumenti. Fondamentale è stata l’esperienza scout. Ma soprattutto è dominante l’assimilazione della parola biblica. In particolare il Salmista: leggeva, assimilava e imparava a dirsi e a dire. In questo entravano concreta prassi quotidiana ed esperienza mistica. Alla pari.
Possedeva sensibilità di pelle, di cuore e di cervello. Che lei nutriva con contatti umani, con letture continue (soprattutto gli scrittori mitteleuropei e gli spiritualisti francesi, grandi indagatori dell’animo umano). Era tollerante nel senso alto del termine e, ad un tempo, rigorosa, esigente, selettiva. Non è un paradosso: tutto ciò appartiene alla sua eccezionalità. La sua personalità avvolgeva, penetrava, metteva in crisi. Ma non fagocitava. Aveva dubbi, mai certezze. Talora navigava a vista, talora si confessava impotente, incapace di capire. Era la sua grandezza. Si comprendeva che l’ovvio e il banale non abitavano in lei, non parlava mai a caso. E possedeva la dote dell’ironia. Enunciava un problema e ne prendeva le distanze, lo circumnavigava, lo faceva passare sulla bocca di tutti. Non c’erano soluzioni definitive, ma intuizioni. Stimoli. Direi così: chi le stava vicino sentiva il bisogno di elaborare in proprio, non di attingere risposte.
Fu educatrice di altissimo livello. Sapeva prendere le pietre scartate dal capomastro e trasformarle in testata d’angolo. Anche questo un dono grande. Ha impresso svolte decisive all’avventura esistenziale di ognuno dei suoi allievi. Laureatasi in lettere (con tesi in storia dell’arte dedicata alla sua città di adozione, Treviso, relatore Sergio Bettini) ha lavorato in frontiera, in una scuola media di periferia, e ha trasfuso nel suo insegnamento l’esperienza scout. La vita come avventura, l’apprendimento come scoperta continua, la cultura come serbatoio di emozioni. Non insegnava, orientava. Dava chiavi di lettura per il grande enigma dell’adolescenza e della vita intera.
Forse a questo punto si intuisce già la grandezza assoluta di Anna Maria Feder, la sua personalità rilevata e stagliata. Ha lasciato, questa donna fuori del comune, una straordinaria scia di spiritualità. Nel suo segno e nella sua memoria è nata, con scopi educativi, pedagogici, benefici, una fondazione che reca il suo nome e che ha sede nella casa di Strada dei Biscari, quartiere di Santa Bona, in cui è andata a vivere dopo il matrimonio.
Qualche anno fa, per offrire ad un pubblico più vasto la possibilità di valutare lo spessore e la portata del suo messaggio e, prima ancora, della sua opera, la fondazione mi ha affidato il compito (un mandato ampio, si direbbe, con assoluta libertà di formula e di soluzioni) di raccogliere il testimone lasciato da Anna Maria Feder e di raccontare la sua avventura esistenziale.
Ne è nato un libro, IL VENTO E LA ROCCIA, che ha visto la luce nei mesi scorsi per i tipi della Paoline Editoriale Libri. Ricordo con commozione di essere riuscito a mettere il libro tra le mani di Francesco Piazza, pochi giorni prima di quel 29 luglio in cui anche lui ha bussato alla casa del Padre.
Per me scrivere questo libro è stata esperienza esistenziale di altissimo valore pedagogico. Mai la mia scrittura aveva trovato modo di nutrirsi e irrobustirsi in tal misura. Avventura entusiasmante ma anche estremamente difficile, complessa e delicata. Il senso di questa mia relazione, oggi, non abita solo nella volontà di dire Anna Maria a chi non la conosceva ma anche di regalare a me stesso una sorta di bilancio morale e ideologico sul metodo con cui ho affrontato l’impresa. Sulle fatiche e sugli ostacoli che ho incontrato lungo il cammino.
La mia fortuna è stata nell’aver compreso subito che dovevo eclissarmi, come scrittore, davanti alla persona che raccontavo. Davanti alla straripante e preponderante personalità di Anna Maria Feder Piazza.
La quale ha scritto tantissimo, ma ha pubblicato, se si escludono alcuni articoli su una rivista scout, praticamente nulla. Ha riempito cinque densissimi quaderni di appunti (i carnet de route, secondo la definizione e la tradizione scout), ha abbozzato diari, ha appuntato molti momenti della sua vita in diverse agende, ha annotato le cose più eterogenee su ogni pezzo di carta che le capitava a tiro. Succedeva perfino che in classe, durante lo svolgimento di un tema, lei strappasse un mezzo foglio dalla minuta di un alunno. E si mettesse poi a scrivere appassionatamente, una lettera magari. Salvo poi coprire, fanciullescamente, con una mano l’intestazione perché l’alunno, avvicinatosi alla cattedra per chiederle una delucidazione, non avesse a vedere.
La centralità della parola cui ho fatto cenno.
È stata dura catalogare, inventariare, mettere in fila, doverosamente e dolorosamente scegliere. Quando ho creduto di essere a buon tratto di cammino, alla svolta decisiva, è spuntato un epistolario ricchissimo. Ho dovuto fermarmi, fare punto e riorganizzarmi. Perché naturalmente le lettere sono quelle dei suoi interlocutori, non le sue. E in questi casi serve mettersi alla ricerca di coloro che hanno magari conservato qualcosa di lei.
Ho inventariato ogni singola missiva e ho fatto, tra altre, una gioiosa scoperta. Francesco Piazza, maestro dell’incisione e della pittura, è stato anche affascinante poeta. Possediamo due sillogi della sua poesia. Una voce rilevantissima, la sua, con tratti di unicità assoluta: in quelle lettere è emerso un mare inedito di versi. E uno dei prossimi traguardi che perseguirò assieme alla Fondazione (e da questa sostenuto) sarà proprio la pubblicazione dell’opera omnia di Piazza poeta.
In questo travaglio è stato ovviamente necessario mettere a punto una formula per raccontare Anna Maria, per delinearla e proporla. Ho cercato, come dicevo, di sgomberare il campo dalla mediazione della scrittura.
La mia scrittura, ovviamente, perché già c’era la sua. Totalizzante, fluviale, talora dura e talora dolce, sempre con la ruvidezza inquietante di una verità ricercata, di una verifica o di una controprova inseguite, di uno scavo incessante negli abissi della sua anima, nella ricerca inesausta dell’altro, dell’interlocutore. Donna del dubbio, mai della verità data o scontata.
Da subito ho accantonato un criterio meramente cronologico per questa biografia che si legge come un romanzo o, se si preferisce affrontarla a ritmo blando, come una sorta di breviario laico che interpella l’uomo e la donna di oggi, gli suggerisce atteggiamenti. Direi di più: partecipa ai dubbi, conferisce loro un senso, aiuta a palparne lo spessore. Perché chi legge Anna finisce col sentirsi meno solo.
Una idea buona poteva essere quella di costruire un discorso attorno a lei attraverso le infinite testimonianze che ho raccolto sulla sua persona, sulla sua opera, sui suoi atteggiamenti, sul modo silenzioso e originale che aveva di operare. Perché serve dire che Anna Maria non è mai stata banale, non ha mai dato nulla per scontato. Piuttosto era sempre lei a spiazzare gli altri. Anche questo criterio si è rivelato insufficiente.
Insufficiente, ma certamente non col fiato corto.
Anzi, è stato un gran bel respirare questo raccogliere tracce, questo sentire Anna viva nella sua eredità
La raccolta delle testimonianze ha rivelato ricchezza di relazioni, profondità di sentimenti, capacità di fondare rapporti e tenerli vivi, vocazione a far sentire ogni interlocutore come unico e privilegiato. Nella sua grande anima c’era un angolo dedicato per ognuno. Tra queste testimonianze devo citare, per importanza ma anche per debito culturale, quella di don Firmino Bianchin che ha condiviso molti momenti con Anna ed è stato con lei negli istanti ultimi. Don Firmino ha regalato con la sua rievocazione il folgorante (non saprei come dire: triste e gioioso insieme, il commiato e la speranza) incipit a questo mio libro. Gliene sono grato.
Dunque, quale criterio?
Ho scelto di coagulare memoria di Anna e la sua esperienza esistenziale attorno ad alcuni luoghi forti. Luoghi fisici e luoghi morali. Ed è anche un po’ la scansione concettuale de IL VENTO E LA ROCCIA. Di cui propongo alcuni squarci.
Il titolo intanto. Francesco Piazza, piuttosto portato alla paciosità per non dire alla sedentarietà, aveva formulato la teoria che Anna, la donna, era il vento, sempre in movimento, capace di scompaginare tutto, mentre lui, il maschio, era roccia, la stabilità. La roccia e il vento, appunto, sempre in dolce competizione. Innamoratissimi, capaci di darsi impulsi reciproci. Insieme hanno costruito una famiglia che non ha avuto figli fisici ma una moltitudine di figli spirituali.
Parto proprio dal racconto di Firmino Bianchin che propone una donna già adulta, già molto presente in termini di interazione, al mondo. Siamo nei primi anni Settanta, segnati da contenuti nuovi e da linguaggi utili ad esprimerli.
“Fondamentale per la nostra proposta era la riscoperta della Parola come centro propulsivo della vita pastorale e il lavoro svolto nell’ambiente scout fornì una cartina di tornasole significativa. Non si trattava di sostituirsi ai capi e alle gerarchie, anzi. Formulavamo una proposta dinamica e nuova ad un mondo, come quello scout, che trovava giustificazione e alimento nella tradizione”.
Don Firmino propose di cercare, proprio nella Parola, motivazioni nuove, sulle tracce e alla ricerca di un progetto provvidenziale che è chiamata per ognuno e rispetto al quale serve elaborare una risposta. “In un contesto sociale, morale ed etico in cui si tendeva a liquidare Dio con delle prestazioni rituali, era una provocazione forte: al Dio che parla, si impara a rispondere con creatività e protagonismo”.
Sono anni anche di grandi crisi e rivolgimenti, della fine del collateralismo. E la liturgia viene ad assumere un ruolo fondamentale. Lodi, vesperi, compieta: nei campi scout si organizza la preghiera in modo diverso, partendo dai salmi. La giornata è segnata e attraversata dalla preghiera. Il percorso scoutistico ne viene rivitalizzato: è la preghiera ad indicare la strada per cercare motivazioni più profonde. “Una scoperta che alimentava cammini”. Era inevitabile che il modello proposto ai ragazzi influenzasse l’intero impianto del gruppo (che era il Treviso II) e soprattutto i capi.
Anna, con la sua sensibilità spiccata, avvertì in modo acuto il problema e la trasformazione in atto. Si avviava ai quarant’anni: colta, strutturata, con una educazione consolidata, con una sua proposta culturale da offrire agli altri organizzata, già formata.
Ci si potevano attendere da lei rigidità, incapacità di capire e di mettersi in sintonia. O forse, chissà, un adeguamento meramente formale. Oltre a tutto veniva dalla famiglia di un vecchio militare. “Ma, sottolinea don Firmino, di tutto questo Anna ha saputo parlare in modo affascinante e contemporaneo. Ha assimilato, ha colto l’essenza. Ha ulteriormente elaborato e ha trasmesso. Non ha copiato, ha saputo rielaborare. Qui si è riconosciuta la statura carismatica di Anna. Creare mobilità in una persona che aveva una sua cultura e una sua formazione consolidate è una sorta di miracolo”.
Quella di Anna fu soprattutto voce profetica, anche se non clamorosa, anche se sommessa. Mentre lavorava su se stessa coinvolgeva gli altri, li convinceva. Tutta la gente che si trovava a parlare attorno a lei e a Francesco Piazza, nella loro casa di via dei Biscari, magari chiacchierava, ma poi i discorsi prendevano una svolta di impegno. Scattava una interazione che trascinava e convinceva.
La casa di Strada dei Biscari.
Fu luogo di pensieri, di accoglienza, di dialogo, di amicizia, di dialettica, di apertura, di approfondimento. Costruita grazie ad un mutuo trentennale della Cassa di Risparmio, si avvalse degli apporti di tutti. Apporti morali ma, si intende, anche materiali. Mobili, piante per giardino, oggetti. E tanti animali: Anna era anche una dolcissima animalista, capace di rispetto assoluto e amore grande anche per le creature del buon Dio non dotate di parola. Un porto di mare in cui ognuno si sentiva partecipe, accolto, protagonista.
Un flashback per dire della scelta scout.
Quando arriva a Treviso, Anna Maria non ha nemmeno 15 anni. Arriva da Foligno, figlia di un ufficiale in congedo. Il colonnello Antonio è severo e cordiale insieme. La mamma è molto giovanile, aperta. Ha due fratelli, Maresa e Franco. È il 1948. In Italia si respira un’aria greve, da guerra fredda. E non solo per la desolazione di un paese che non sa da che parte iniziare la propria ricostruzione, ma anche per il clima di contrapposizione e chiusura. In un contesto di diffidenza verso il nuovo, una quattordicenne, appena uscita dalla scuola media inferiore e appena arrivata da un ambiente socioculturale del tutto diverso (la campagna di un paesino umbro), inaugura la storia dello scoutismo femminile trevigiano.
Fonda il primo Riparto AGI della città, formato all’inizio da due squadriglie. Per di più si sceglie, come assistente, un prete un po’ border line, visto con qualche sospetto dalle gerarchie, don Arduino Faccin. Lei, Anna, la sua promessa scout, l’ha fatta solo qualche mese prima, il 12 ottobre 1947.
Cominciano gli anni che noi possiamo seguire in presa diretta perché è lei stessa che ce li racconta nei suoi carnet. Alcuni fogli vergati nel 1949; poi, con frequenza quasi quotidiana, dal 1952. Fino al primo luglio 1964, un giorno scandito da una visita al madrileno museo del Prado.
I carnet appartengono a tutti e vanno letti perché così voleva Anna.
In una pagina collocabile tra settembre e ottobre 1959 scrive come attraversata da un presagio di morte: “Ho portato il mio messaggio, era piccolo ma mio… Vorrei che la roba mia fosse di tutti, compresi i miei carnet che ho scritti per me e per tutti: poca roba, ma assolutamente sincera”.
Devo fare cenno ad almeno altri due nuclei nodali.
Il primo ha il suo luogo fisico (ma serve aggiungere in qualche modo anche mitico) nella cosiddetta stanzetta. Nel 1959 muore don Ugo De Lucchi, che era assistente ecclesiastico degli scout e che a Santa Maria del Rovere aveva creato attorno a sé un luogo di aggregazione e un punto di riferimento. Quando don Ugo viene meno, lei sente di impulso di dover continuare quell’esperienza. Apre, non senza difficoltà, una parte della sua casa a tutti coloro che vorranno frequentarla. In quella stanzetta molti hanno trovato la forza per raggiungere il loro titolo di studio, fino alla laurea. Sono fioriti amori, rapporti umani e conoscenze. I frequentatori della stanzetta hanno conferito spessore pedagogico autentico alla loro esperienza giovanile. Anna sorvegliava, vigilava, consigliava, metteva a disposizione la sua sensibilità e la sua cultura. Qualcuno ha ripreso gli studi dopo anni, qualche altro a focalizzato la propria vocazione. Esperienza straordinaria nel racconto di chi l’ha vissuta.
Il che rimanda al secondo nodo, Anna Maria Feder educatrice. Di istinto, naturalmente portata. Come insegnante ha orientato infinite scelte individuali. Ha educato, ha saputo coltivare la severità, ha saputo coniugare il rigore con la protezione e l’amicizia personale. Ha scritto: “Ogni persona che educa ha questa responsabilità nei confronti dell’altro: aiutarlo in questa ricerca, in questa scoperta del proprio io interiore, perché educare vuol dire tirar fuori e contemporaneamente creare le condizioni adatte, perché oltre alla scoperta di sé, nasca nell’altro il desiderio di realizzare la propria avventura umana: ecco l’educazione all’autoeducazione”.
Torna spesso, in Anna, questa visione maieutica dell’educare. Dice: “Nessuno sente la tragedia di questi poveri ragazzi. La famiglia li veste e li nutre, la scuola li imbottisce e li standardizza, i cosiddetti educatori tentano di incasellarli e soffocarli, lo stato se ne lava le mani e invece bisogna amarli i ragazzi, senza stupidi preconcetti, bisogna credere in loro. Sono la vita della nazione, sono la fede in un mondo migliore”.
Non è molto per il racconto di una personalità complessa come quello di Anna Maria Feder, ma è quanto mi è concesso da questi spazi.
Chiudo leggendo uno squarcio di una lettera scritta qualche tempo prima del matrimonio a Francesco Piazza. Anna ha 33 anni, è laureata da 8, insegna, è circondata da stima e successo. Nel suo animo coltiva il dubbio, una angoscia radicata. Parole di spessore agostiniano, esaltate e perfino esasperate dall’intimità del colloquio col suo uomo.
“Ho scavato fino in fondo a me stessa, e vi ho scoperto le cose che sono anche scritte nei libri, ma in tanti libri diversi. Io le porto tutte dentro di me, come tutti, ma io ne ho coscienza. Per questo vivo sapendo di vivere. Quando avevo 12 anni un prete mi disse: Bada a te stessa e a tutto quello che fai. Tu potrai fare o un grande bene o un grande male, non hai scelta, sei come una centrale elettrica ad altissima tensione. Se avessi trovato un uomo normale forse lo avrei abbandonato o forse avrei tradito me stessa. Tu mi hai insegnato ad essere me stessa e hai lasciato intatta la mia indipendenza spirituale, non sarò mai abbastanza grata a Dio di averti messo sulla mia strada. Io sono una persona destinata alla solitudine, come tutta la gente del mio stampo che prima di ogni altra cosa deve realizzare se stessa, qualunque sia il prezzo e la strada. Pensa in che baratro di follia precipiterei se non avessi te. L’amore che ti do non è quello che nasce né dalla passione né dal dovere, ma quello spericolato per cui in qualunque anima io entri (e vi entro in continuazione suscitando attorno a me amore più di tanti altri e cercando di restituire quanto me ne danno) io posso misurare che cosa tu rappresenti per me rispetto a tutti: la grandezza d’animo, il coraggio, la superiorità intellettuale e spirituale. Può darsi che io appaia peggiorata in questi ultimi anni perché sempre di più divento me stessa con la piena coscienza (e senza paura) di doverlo essere, ma io mi sento arricchire dentro, di giorno in giorno attraverso le mie esperienze umane e nella ricerca di tutto il divino che c’è nell’umano. Senza di te non ci sarei riuscita. Tu vorresti salvarmi da me stessa, fermarmi, strappare magari nel mio mondo tutto quello o tutti quelli che mi angosciano e mi fanno soffrire e non per gelosia ma per amore, ma non hai più voluto farlo da qualche anno a questa parte. Per questo motivo sei per me, dopo Dio, il più grande di tutti gli esseri e il più generoso e il più intelligente e quello che sa amarmi di più. Io infatti voglio essere soprattutto libera, solo nella libertà di sé stessi si può amare veramente. Non posso fermarmi e non voglio. In questo grande gioco che è la vita, tutto mi è troppo stretto. È vero, 24 ore non bastano per il mio amore. Ma perché dovrebbe essere diverso? La mia strada è amare, amare tutti quelli che mi amano e non mi amano, amarli seriamente, a fondo, senza riserve. Desidero una sola cosa per me: avere la coscienza di avere dato ogni giorno a chi mi era intorno tutto quello che avevo. Devo combattere in me tutti i difetti che derivano da quest’ansia: l’orgoglio, la presunzione, l’egoismo ecc. Tutto questo è fatica. Fatica e dolore. Io cerco Dio e di vedere la sua faccia e di trovare in lui l’unità e tutto il mio amore. Finché sarò viva dovrò accontentarmi di accettare la frattura del tempo e l’angoscia di essere limitata, ma quando morirò so che vedrete tutto di me”.
33 anni e un inatteso testamento spirituale. Anna ha la capacità concessa a pochi di farsi carico del dolore generale dell’umanità. E di avvertire, come una sorta di condanna, il peso della incomunicabilità. Ne è consapevole. Nell’inverno del 1957 scrive nel suo carnet: “Soffro per la solitudine di tutti, di tutti noi che siamo veramente, unicamente, irrimediabilmente soli; ognuno con le proprie manie, i propri sogni, i propri problemi. Non ci sono punti di incontro, la solitudine è il fiume profondo e limaccioso che separa noi dagli altri, è invalicabile. La vita di tutti i giorni e l’amore credono di farci dimenticare la nostra solitudine, ma con lo stordimento e la superficialità. L’amore è come una zattera sul fiume e spesso non riesce a toccare l’altra riva. Noi siamo soli perché non tutto può essere detto e non tutto può essere capito”.
Spero di aver fatto capire come Anna sia stata donna in ricerca, perennemente sul filo di rasoio del disagio esistenziale e dell’accoglimento sorridente del disegno provvidenziale. Anche nel dolore e nella malattia. Come Giobbe ha detestato il suo corpo e benedetto il Dio che sentiva sopra di sé. Resta vivo il suo messaggio educativo, restano vive le sue intuizioni, il suo modo di gestire il rapporto con ogni interlocutore. Restano vive la sua semplicità spirituale e la sua complessità intellettuale
.

torna

 

FONDAZIONE FEDER PIAZZA Onlus - Strada dei Biscari 22 - 31100 Treviso
Tel. 0422.301891 C.F. 94012540269 - IBAN IT 02 O 02008 62180 000102293604